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Al momento sta realizzando l’ascesa del monte Everest; in futuro gli piacerebbe scalare le vette di Marte. L’alpinista tedesco Jost Kobusch ci racconta il fascino che prova per l’alta quota.

Stare da soli sul punto più alto di una montagna e sentirsi invadere dall’euforia, nonostante l’aria rarefatta, le gambe stremate e le articolazioni affaticate. Jost Kobusch rientra tra le poche persone che amano provare tale sensazione. Ad avvicinare il 27enne a questa passione fu la scelta di iscriversi a un gruppo di attività extrascolastica di arrampicata. Presto, però, iniziò a farsi sentire il richiamo della montagna e l’arrampicata sportiva perse il suo fascino. Per il giovane alpinista, originario della pianeggiante Germania settentrionale, non fu affatto facile trovare un compagno di arrampicata. Ciononostante, riuscì a farsene una ragione e decise di diventare alpinista in solitaria. Ogni ascesa in solitaria non comporta soltanto ostacoli di natura geografica, ma anche psicologica. 

I primi passi sull’Everest

Deciso inizialmente a studiare medicina per imparare un «vero mestiere», oltre alla sua passione per le montagne, riuscì a cambiare il suo modo di vedere le cose dopo aver conquistato diversi sponsor con cui finanziare nuovi progetti: «Prima ero convinto che fosse necessario fare determinate cose che non ci piacciono per potersi dedicare a ciò che ci piace. Adesso ho capito che non è così. Cerco di seguire i miei interessi e non rimpiangere niente.» Per non avere rimpianti durante l’ascesa di una vetta alta tra i 6000 e gli 8848 metri è necessario pianificare ogni passo in modo dettagliato. Soprattutto se si è minimalisti e rispettosi dell’ambiente come Jost Kobusch. Chi si accinge a scalare una cima in solitaria deve scegliere con cura i pochi utensili e strumenti da portare con sé. L’alpinista tedesco, inoltre, cerca di fare il possibile per lasciare la montagna, al termine delle sue imprese, nello stato in cui l’aveva trovata e di ridurre al minimo la propria impronta ambientale. Alcune spedizioni richiedono una preparazione di diversi mesi; altre, invece, di una vita intera all’insegna del motto «learning by doing». La sua prima grande scalata, all’età di 18 anni, fu un concatenarsi di eventi che non dovrebbero mai succedere: a causa dell’estrema rapidità dell’ascesa, Jost Kobusch iniziò ad avvertire severi sintomi del mal di montagna, come ad esempio persistenti mal di testa, insonnia e nausea, a cui si aggiunsero una forte scottatura sul viso a causa del sole e il cattivo tempo che rese impossibile raggiungere l’ultima vetta.

«In montagna la solitudine è solo apparente.» Jost Kobusch

Grandi progetti

«Da un punto di vista razionale, la mia prima scalata è stata un vero disastro, ma credo di aver imparato tanto», questa l’analisi di Jost Kobusch. L’esperienza fatta nel 2015, nel campo base dell’Everest, gli ha insegnato quanto è sottile la linea che demarca il confine tra la vita e la morte: durante i preparativi per la scalata del Lhotse fu infatti sorpreso da una valanga che costò la vita agli altri 22 alpinisti. Eppure, questa tragedia non lo ha scoraggiato; un anno dopo è riuscito a raggiungere la vetta Annapurna, uno degli 8000 più pericolosi, diventando così il più giovane alpinista tedesco in grado di compiere tale impresa. Chi sa cosa significa ritrovarsi davanti a un tale panorama e poter riflettere sul proprio ruolo sulla terra si chiede se agli alpinisti che effettuano imprese solitarie qualche volta capita di sentirsi soli. Per Jost Kobusch la risposta è chiara: «In montagna la solitudine è solo apparente.». Quando scala una cima, vive nel presente e si concentra sull’essenziale: cibo, liquidi, condizioni metereologiche. 

Tutto ciò vale anche per la sua ultima grande avventura che ha avuto luogo a settembre 2019: la scalata in solitaria del Monte Everest senza ossigeno. Le difficili condizioni climatiche lasciavano presagire che sarebbe stato a dir poco impossibile raggiungere la vetta. Ma, dopo tutto, anche 7360 metri di altitudine non sono un piccolo traguardo! Raggiungere il Monte Everest è per molti la propria missione di vita; Jost Kobusch, che ha fatto suo il mantra «Just go for it», ama prefiggersi obiettivi ancora più ambiziosi, quasi… stellari. Il suo sogno è infatti quello di scalare la montagna più alta del nostro sistema solare, il Monte Olimpo di Marte, la cui altezza è di 26400 metri. E noi non possiamo che augurargli di riuscire in quest’impresa perché, d’altronde, solo chi sogna può volare.

jostkobusch​.com